Un uomo, il lavoro, un amore e una casa: la storia di Villa Benni

Alfredo Benni, classe 1864, non era decisamente un mondano. E, nonostante l’aspetto signorile, che potrebbe evocare grandi ricevimenti dal sapore aristocratico, la villa che nel 1924 – come testimonia l’iscrizione in latino sulla prima pietra in cantina – cominciò a costruire per la moglie e il figlio, non ha mai ospitato troppe feste e serate di gala. D’altra parte, era un uomo che aveva dedicato la propria vita al lavoro di agronomo, una professione che svolgeva con grande successo e che gli aveva permesso di fondare in poco tempo una florida azienda a Mezzolara, dove introdusse uno dei primi decauville in Italia. Era un professionista apprezzato – che aveva saputo far fruttare terreni che erano solo acquitrini – un imprenditore fortunato e dall’occhio lungo – grazie alla svalutazione, era riuscito a recuperare in fretta i propri investimenti iniziali, e aveva fatto costruire un essiccatoio per conservare il riso e venderlo in un secondo momento – ma era anche un uomo innamorato della moglie e del figlio. Ed è proprio l’amore, allora, la prima vera pietra di Villa Benni, perché è per loro – venendo meno alla natura di lavoratore che sta meglio tra i campi che non tra le carrozze e la vita di città – che è stata costruita in due anni, sui disegni dell’amico Silvio Gordini e grazie all’opera di 55 artigiani, che hanno lavorato incessantemente sul posto.

Quello che si vede da Via Saragozza è un edificio neoclassico, che rivela però – specialmente nelle vetrate – delle suggestioni liberty e il grande pragmatismo dell’agronomo, che al tradizionale portone che si apre verso l’esterno aveva preferito un’imponente entrata con porte a scomparsa. Le stesse che, durante la Seconda Guerra Mondiale, cominciarono ad essere attraversate con passo marziale dagli stivaloni dei soldati tedeschi che requisirono la casa e che – in un certo senso, facendone l’alto comando – la salvarono dai bombardamenti. Al termine del conflitto, l’inquilino diventò l’Aeronautica, che pagò un regolare affitto fino al 1950, quando, a cinque anni dalla morte del padre, Aureliano Benni rientrò in possesso di una casa dalla quale erano scomparsi parecchi mobili.

L’idea che la Villa – costruita per resistere, come testimonia lo spessore di polvere di marmo sulle pareti esterne – abbia molto a che fare coi sentimenti è confermata dal fatto che gli attuali proprietari siano giunti nel maggio del 1963, tre mesi dopo essersi sposati. Giancarlo Mazzini era uno chef di grande fama – che in futuro si ritroverà a cucinare per Mitterand e Moratti – mentre Concetta, alla ricerca di un lavoro, venne inizialmente assunta come istitutrice della figlia di Aureliano Benni e poi riqualificata come impiegata nell’azienda agricola di famiglia.

I loro figli – Marcella e Marcello – sono nati qui.

Qui hanno trascorso tutta la loro vita insieme.

E qui è cominciata nel 2001, quando Aureliano Benni è morto – lasciando loro la Villa in eredità – quell’attività di catering che oggi è il loro lavoro.